Viaggio in Burundi di Alberta / Gennaio 2014
Il Burundi è un piccolo stato al centro dell’Africa, uno dei piu’ poveri del mondo, nella zona dei Grandi Laghi, senza sbocco al mare. Confina con Ruanda, repubblica democratica del Congo,Tanzania. Capitale Bujumbura.
Ha conosciuto la colonizzazione prima tedesca, poi belga, e ha ottenuto l’indipendenza nel 1962. Dal 1966 è una repubblica presidenziale. L’85% della popolazione è costituita da Hutu, per lo piu’ agricoltori, il 14% Tutsi, dediti alla pastorizia e il 2% da Pigmei. La differenziazione fra etnie è piuttosto labile, condividono infatti la stessa lingua, la stessa religione e hanno usi simili. La lingua ufficiale è il francese e il kirundi.
Visitare questo paese, per altro in un modo del tutto inaspettato, è stato per me come realizzare un sogno che nutrivo da sempre. Quando parti per l’Africa, la curiosità che inizialmente ti spinge, lascia presto il posto al fascino particolare delle contraddizioni, i contrasti, i ritmi, il senso del tempo, l’armonia che questo paese suscita.
Ti senti catturato e il viaggio diventa introspettivo, è stato come riscoprire in una diversa dimensione l’autenticita’ e l’essenzialita’ delle cose.
Siamo arrivati a Bujumbura in 4: io, mio marito, Don Giancarlo e Nicola, presidente di Urukundo (ONLUS), il 9 Gennaio 2014, subito accolti da due sacerdoti della Congregazione e trasportati poi a Gitega, dove abbiamo soggiornato per tutto il tempo, nella Congregazione degli Apostoli del Buon Pastore.
Nei giorni successivi, abbiamo avuto l’opportunità di visitare diverse parrocchie, congregazioni di suore, due vescovi, il Nunzio Apostolico, ospedali e di portare cibo e vestiario nei villaggi e nelle scuole dei Pigmei, gli ultimi degli ultimi, fino ad attraversare in lungo tutto il Burundi.
L’impressione è sempre la stessa: la leggerezza con cui si vive, il senso del tempo quasi scompare per dare spazio alla relazione, agli incontri. Tutto e’ armonia, suono, una melodia di sottofondo sembra accompagnare il ritmo della vita. Guardi, osservi, impari che la vita si puo’ vivere diversamente, con meno cose e qualche sorriso in piu’.
La poverta’ si respira nell’aria, ma anche la dignita’, le persone salutano e sorridono sempre.
I disagi sono tanti, specie per noi abituati a tutti i comfort, ma subito ci si adegua al loro modo di vivere, diventa quasi un automatismo. La poverta’ non è sinonimo d’infelicita’ e chi è fortunato dovrebbe capire che non c’e’ niente di scontato in quello che ha.
Quello che piu’ di tutto ti rimane impresso dentro, sono gli occhi dei bambini, grandi, profondi, disarmanti, raramente tristi. Ho apprezzato e condiviso tutto di quel popolo, perché mi sono sentita accolta, mi sono sentita parte di loro nel profondo,li’ dove tutto e’ spontaneo, niente costruito ho provato un senso di liberta’ indescrivibile.